Ricordo quando andai all’ottica, ci dovetti andare perché un pomeriggio mentre asciugavo i miei occhiali, dopo averli lavati, la montatura fece crack come una patatina fritta, vestita di ovatta. Quando entrai, mi accolsero due occhi semplici illuminati da un sorriso come due abbaglianti nella notte quindi li scelsi o meglio me li feci scegliere da lei, poiché lo specchio era un po’ distante dalla mia figura, mi disse quanto venivano e quello lo ricordo come il giorno più doloroso della mia vita, dopo la morte del mio cane. “Ti va un caffè?”. Avevo bisogno di distrazione, la ferita era ancora fresca (ma non dovrebbe essere calda?) “Adesso”. “No, tanto sei giovane possiamo aspettare”. Si mise a ridere e acconsentì. Quel giorno ricordo, quando l’andai a prendere sotto casa, era vestita con un bel vestito nero che disegnava le sue curve, a guardarle faceva venire voglia di prendere un travelgum. I suoi capelli neri erano neri come il nero e i suoi occhi, verdi come il b